PELLEGRINAGGIO A RAVENNA

 

Il gruppo MI di Osimo Domenica 30 Marzo ha organizzato un bellissimo Pellegrinaggio a Ravenna e, in questa occasione, P. Egidio Monzani ci ha fatto da cicerone per poter conoscere e vedere i musei più importanti della città, ma anche per poter visitare il Santuario della Madonna Greca, alla quale i ravennati sono molto devoti.

P. Egidio quando ci ha accolti, prima di assistere alla S. Messa, ci ha fatto una profonda e toccante catechesi, nella quale ha delineato un confronto tra la figura di Giovanni il Battista ( con il quale si chiude l’Antico testamento) e quella di Gesù Cristo 8 il quale apre le porte al Nuovo Testamento ). Al termine di questo articolato confronto, P. Egidio ci ha posto una domanda “ Dove si colloca il cammino e la missione della Milizia dell’Immacolata oggi?”. Apetta ad ognuno di noi, con il proprio cammino di fede dare una risposta concreta ed esauriente a questo quesito.

Vi allego la catechesi di P. Egidio perché anche chi non è potuto essere presente lì con noi possa trarre un beneficio spirituale dalle sue toccanti parole.

Grazie di cuore P. Egidio da tutti noi .

 

 

CATECHESI DI P.EGIDIO MONZANI

 

INTRODUZIONE

 Non parlerò di san Massimiliano Kolbe, se non in filigrana.

E voi siete bravi e intelligenti a saperlo interpretare.

Farò solo un breve cenno a mo’ di conclusione.

Mi inoltro invece su un argomento “quaresimale” , d’obbligo, e con un obiettivo ben preciso: intraprendere un “cammino” da applicare anche all’interno della Milizia, un vero e proprio cambiamento di mentalità, che poi è la conversione.

Lo farò mettendo a confronto l’operato di Giovanni il Battista e l’operato di Gesù.

Obiettivo è il passaggio dalla RELIGIONE alla FEDE.

RELIGIONE intesa come ciò che l’uomo deve fare per essere gradito a Dio.

FEDE ciò che Dio fa per essere accolto dall’uomo.

Domanda “idiota”: è più importante ciò che fa Dio o ciò che fa l’uomo?

La risposta sembra scontata, ma la realtà è molto diversa.

Ho già messo in conto che creerò qualche “sconvolgimento” su quanto sto per dirvi, ma credo sia arrivato il vento dello Spirito per voltare pagina.

Papa Francesco in questo è modello e ispiratore.

Anche la Milizia ha bisogno di farsi gonfiare le vele dal vento dello Spirito.

Qualcuno dice che, finita questa generazione, la religione scompare. Possiamo anche condividere, anzi augurarcelo se è la religione dei devozionismi, l’importante che si faccia strada l’azione di Dio, cioè la fede.

 

 GIOVANNI BATTISTA E GESU’

Peccato o Regno di Dio? Antico Testamento o Nuovo?

 Il Battista era simile ad una cerniera: a metà tra due tempi, il prima di Cristo e il dopo di Cristo; tra due stagioni, quella dell’Antica Promessa e quella dell’inedita Presenza; tra due rotoli, quello dell’Antico e quello del Nuovo Testamento. Tra due storie diverse: quella in cui Dio poteva sembrare lontano e quella in cui il Dio lontano era qui, vicino a lui. Due modi diversi di vivere la fede: servi o figli?

Tra Giovanni e Gesù non c’è una differenza graduale, ma una differenza per contrasto.

Giovannii rappresenta la fine di una tappa, Gesù è l’inizio di un’altra.

In che cosa consiste questo contrasto?

Giovanni è un asceta, Gesù è aperto al mondo.

L’annuncio del Battista: il giudizio è imminente, convertitevi!

Gesù: il Regno di Dio è vicino, venite anche voi affaticati e oppressi.

Giovanni resta nel contesto dell’attesa, Gesù vuole portare il compimento.

Giovanni è nell’ambito delle legge, con Gesù comincia il Vangelo.

Giovanni non mangia e non beve, Gesù viene accusato di essere un mangione un beone e amico dei pubblicani e dei peccatori (Mt 11 e Luca, 7).

Luca sintetizza: “La legge e i profeti fino a Giovanni; da allora in poi viene annunziato il Regno di Dio e ognuno si sforza per entrarvi” (16,16). Matteo: La legge e tutti i profeti hanno profetato fino a Giovanni. E se lo volete accettare, egli è quell’Elia che deve venire” (11, 13).

 La differenza è enorme. L’evangelista Giovanni afferma che “Dio, nessuno lo ha mai visto” (1,18). Cioè Dio non è alla nostra portata, finché non è venuto Gesù che “lo ha rivelato”.

La differenza tra il Battista e Gesù sta nel fatto che Giovanni non ha potuto farci conoscere chi è Dio e come è Dio. E’ stato solamente Gesù  a farlo. Cioè, solo Gesù ha cambiato le idee su Dio, perché ce lo ha fatto conoscere in modo nuovo.

I Vangeli ci dicono che Gesù di Nazareth era un uomo mandato da Dio, inviato da Dio. Era un rabbi, era un profeta che però narrava Dio.

Cosa vogliono dire, in questa straordinaria convergenza, i quattro Vangeli? Che Gesù aveva una precisa identità: era venuto da Dio in mezzo a noi come figlio di Dio. Era venuto da Dio quale figlio dell’uomo ad inaugurare il Regno di Dio. Era venuto da Dio perché era la parola di Dio che si è fatta carne ed ha abitato in mezzo a noi. Gesù è venuto tra noi per narrare Dio, per farcelo conoscere.

L’esperienza di Dio la si fa attraverso l’esperienza di Cristo. Se vogliamo conoscere il cuore di Dio dobbiamo rivolgerci a Gesù.

Ma, allora, in questo senso, noi possiamo dire che Gesù ha evangelizzato i discepoli, però ha evangelizzato anche Dio. E capitemi bene: può sembrare paradossale, ma Gesù ha evangelizzato Dio, cioè l’ha reso buona notizia. Non sempre nelle vie religiose, anche nell’A.T., appare il vero volto di Dio. Sovente il volto di Dio è perverso, fabbricato da noi uomini, anche dai credenti, anche dai cristiani. E mi si permetta di dire: quante volte i cristiani, nella loro storia, hanno dato a Dio il volto del Dio perverso? Un Dio che, anziché chiamare alla fede e attirarli a lui, in realtà spinge gli

uomini ad essere senza Dio, atei. Un Dio che si fa temere, che fa paura e certamente non si fa amare. Ma non è quello il vero volto di Dio, sono i volti che noi diamo a Dio.

 

Il contrasto tra Giovanni e Gesù appare subito appena entrano in scena.

Il Battista battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. La missione di Giovanni è pensata e organizzata in funzione del

peccato. Per liberarsi dal peccato.  Era convinto che il male peggiore e la disgrazia più grande è il peccato. “Razza di vipere”, “ira imminente”, “la scure è posta alla radice” il Messia che verrà “pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento, ma brucerà la paglia con fuoco inestinguibile”.

La preoccupazione di Giovanni era di mettere fine ai peccati e ai peccatori e il Messia è “l’agnello che toglie il peccato dal mondo”.

Ha una sua visione particolare della religione e la conseguente immagine di Dio.

Una religione che pone al suo centro il peccato inteso come malvagità, pericolo e minaccia, crede in un Dio autoritario, impositivo, minaccioso, giustiziere. E’ una religione che spaventa la gente, perché rappresenta una minaccia. Si concentra sul male morale, sul problema del peccato e lascia scoperto il problema che preoccupa maggiormente quasi tutti, il male fisico, inteso come problema della sofferenza.

Anzi male fisico e sofferenza sono in funzione del peccato, perché servono a espiare.

C’è da considerare che tutti noi esseri umani facciamo cose che producono in noi sentimenti di colpa, di macchia, di offesa verso gli altri e, per chi crede, verso Dio.

Tutto questo mondo oscuro e sotterraneo ci fa sentire male e produce ferite molto profonde nei nostri sentimenti umani di onnipotenza, autostima, narcisismo. Spesso questo cumulo di sentimenti scatena paure inconfessabili, la paura di punizioni o di disgrazie in questo mondo e nell’altro. Paure che paralizzano, che rendono amara la vita nostra e di chi ci sta accanto. Di qui si avverte il desiderio profondo di purificazione, liberarsi dal peso del peccato. Soprattutto quando colpa e peccato sono giudicate da un Dio esigente e minaccioso, irato e terribile.

 Quando Gesù fece l’elogio di Giovanni lo definì il più grande di tutti i nati da donna,

ma poi aggiunse “il più piccolo del Regno dei cieli è più grande di lui” (Mt 11,11).

Perché questa sorprendente superiorità? E’ chiaro: il regno di Dio è qualcosa di ben superiore e diverso da ciò che rappresenta l’Antico Testamento.

Anzi di più profondo e di più intensamente umano nella differenza tra Giovanni e Gesù:

al centro delle preoccupazioni del Battista ci fu il peccato, al centro delle preoccupazioni di Gesù ci fu la sofferenza.  A Giovanni interessava mettere fine al peccato, a Gesù interessava mettere fine alla sofferenza.

“Andate e dite a Giovanni: i ciechi vedono…”.

Un prefazio comune (VIII) della messa recita: “Nella sua vita mortale
egli passò beneficando e sanando tutti coloro che erano prigionieri del male.
Ancor oggi come buon samaritano viene accanto ad ogni uomo piagato nel corpo e nello spirito e versa sulle sue ferite l’olio della consolazione e il vino della speranza”.

Gesù si preoccupò soprattutto della sofferenza che piaga, umilia e offende gli esseri umani.

Convinzioni che portano alla “cultura dell’incontro”, tanto cara a papa Francesco. In una messa nel 2012, quando era ancora cardinale a Buenos Aires diceva: “Gesù non faceva proselitismo, accompagnava. Il Dio vicino, vicino alla nostra carne. Il Dio dell’incontro che va all’incontro con il suo popolo. Il Dio che mette il suo popolo in una situazione di incontro. E con quella vicinanza, con questo camminare crea quella cultura dell’incontro che ci fa fratelli, ci fa figli, e non membri di una ong o proseliti di una multinazionale. Vicinanza, è questa la proposta”.

Se per Giovanni al primo posto venivano il culto e l’onore da tributare a Dio, Gesù ci fa capire che l’essere umano e Dio sono fusi in modo tale che l’unico modo di credere in Dio e compiere la sua stessa volontà è rendere felici gli esseri umani.

Gesù non parla mai di peccato come di un’azione che provoca l’ira di Dio, che rappresenta una minaccia o un castigo (anche se lo diciamo nell’atto di dolore!!!), ma di un’azione che coinvolge direttamente Dio e il prossimo. Il peccato che offende Dio è indissolubilmente legato al peccato che offende l’uomo.

Se si paragonano le poche volte in cui Gesù perdona i peccati alle numerose occasioni in cui si dedica a guarire mali e sventure, cioè ad alleviare le sofferenze, si vede

facilmente che la preoccupazione per la sofferenza umana era molto più determinante nella vita di Gesù rispetto a quella per il peccato. Del resto noi, quando ci rivolgiamo ai santi, non li preghiamo forse soprattutto per avere guarigioni dai mali?

Gesù vide chiaramente che la sua missione in questo mondo era quella di porre rimedio al dolore dei sofferenti, restituire l’integrità della vita a coloro che si sentivano limitati, minacciati, disprezzati. E fare in modo che quanti si vedevano privati della loro dignità si sentissero persone degne e meritevoli di rispetto. Per questo Gesù fu accusato di essere un peccatore, un bestemmiatore, motivo di scandalo e addirittura un soggetto talmente pericoloso da togliere di mezzo.

La missione dei suoi non sarà “convertite”, ma guarite. “Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demoni” (Mt 10, 8). La missione è terapeutica.

 Quando gli viene chiesto se fosse lui il Messia che doveva venire, Gesù si limita a rispondere che si dedicava a porre rimedio alla sofferenza . No c’è altra risposta quando si tratta di verificare l’autenticità del Messia di Dio.

Colui che va per il mondo ad annunciare verità e difendere dottrine, ma non muove un dito per far soffrire meno le persone, non può essere l’inviato di Dio.

Nella risposta di Gesù non si fa menzione dei “peccatori”, né “del perdono dei peccati”.

Gesù ha cambiato la nostra comprensione del peccato perché, in definitiva, ha cambiato la comprensione di Dio.

Così il concetto di conversione.

Se per Giovanni “convertirsi” voleva dire smettere di peccare, Gesù la intende invece in funzione del Regno di Dio, come si afferma in Marco 1,15. Per Gesù parlare di Regno è parlare della vita e della dignità degli uomini. Per questo, quando il vangelo di Mt dice che Gesù , indica il Regno, indica che lo faceva “guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo” (Mt 4,23), dando vita a coloro la cui esistenza era limitata o minacciata.

So che le perplessità sono tante, soprattutto perché inadatti a questo linguaggio, ma basterebbe domandarsi: nel cammino delle fede è più importante l’azione di Dio o quella dell’uomo (peccato)? Chi “dovrebbe “ avere la priorità? Chi in realtà ce l’ha?

Tra il trasgredire il precetto del sabato (quindi peccare) e guarire un ammalato Gesù sceglie la guarigione. Mette fine alla sofferenza a costo di infrangere la legge.

“Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato”; ossia, prima c’è l’essere umano, con la sua vita e la sua dignità. Questa scelta gli costerà la vita: i farisei si misero d’accordo con gli erodiani “per far morire “ Gesù (Mc 3,6).

 Se stupefacente e perfino scandaloso fu il comportamento di Gesù con i malati, molto più scioccante fu il suo rapporto con i peccatori. Non entrò mai in conflitto con quelle persone che, in quella società, erano considerate scandalose, trasgressive, che non rispettava i doveri religiosi o che si dedicava a mestieri poco puliti, come i pubblicani e le prostitute.

Un esempio significativo è il caso della grande peccatrice che entrò nella casa del fariseo mentre si celebrava un banchetto (Lc 7, 36-50). Quest’uomo irreprensibile non poteva tollerare quello che vedeva: una donna prostituta che toccava, baciava, profumava . E Gesù che si lasciava tranquillamente toccare, baciare, profumare. Tutti gli uomini perbene si sarebbero scandalizzati. Ma nel racconto c’è la teologia che privilegia l’amore rispetto all’osservanza del fariseo.

La relazione umana d’amore produce persone più buone e delicate della relazione religiosa di sottomissione.

Gesù si comportava così perché voleva convertire quelle persone dai loro peccati? O semplicemente perché le amava? Il Vangelo non riferisce che Gesù li abbia mai rimproverati per il loro comportamento, ne che dovevano “convertirsi”; stava in loro compagnia, mangiava con loro. A Zaccheo chiede di entrare in casa sua e… poi avviene il bello, ma Gesù non pronuncia una sola parola di rimprovero o di condanna.

Anche il pubblicano che chiede misericordia, torna a casa giustificato, ma non cambia mestiere… mentre il fariseo osservante…

Se leggiamo Mt 25, il giudizio finale, non sarà sulle offese a Dio o sulle colpe personali, ma sull’interesse o disinteresse di ciascuno che ha avuto nei confronti della sofferenza degli altri. Gesù non parla di altro: fame, sete, isolamento, privazione di abiti, la malattia, la mancanza di libertà e gli oltraggi subiti dal prigioniero. Chi si disinteressa della sofferenza degli altri pecca.

Gesù ha cambiato la nostra comprensione del peccato perché ha cambiato la nostra  comprensione di Dio.

La catechesi ecclesiastica ha sempre sostenuto che Gesù Cristo è venuto in questo mondo per redimerci dal peccato e donarci così la salvezza.

Perché chiedersi se sia venuto a salvarci dal peccato o dalla sofferenza? Non si è sempre detto che  Cristo ha dovuto soffrire per redimerci dal peccato? E non si predica costantemente che bisogna soffrire per raggiungere la salvezza?

Si tratta di capire qual è la relazione tra ciò che offende Dio e ciò che fa soffrire l’uomo. E di comprendere e capire se la salvezza che Gesù Cristo porta al mondo, proprio in quanto salvezza da ciò che offende Dio, debba essere prima di ogni altra cosa liberazione da ciò che fa soffrire l’uomo.

Se non lottiamo contro la sofferenza umana, in realtà non stiamo lottando nemmeno contro il peccato. Così possiamo dire che lottiamo contro il peccato solo nella misura in cui orientiamo la nostra vita impegnandoci a sollevare la sofferenza di questo mondo.
Partire dunque da ciò che fece e disse Giovanni il Battista, dal peccato di coloro che sono considerati “razza di vipere” o da ciò che fece e disse Gesù, cioè dalla sofferenza degli infermi e degli esclusi, di tutti coloro che sono disprezzati dai potenti di questo mondo.

Il problema del peccato viene gestito dall’autorità, mentre il problema della sofferenza viene gestito con la solidarietà.

La reazione a chi commette il “male” può essere il castigo o il perdono.

Sul peccatore si esercita la giustizia, su chi soffre la misericordia.

L’interpretazione teologica ha visto nella morte di Cristo il sacrificio, l’espiazione e la soddisfazione: salvezza e redenzione del peccato. Così il peccato venne ad occupare il centro delle teologie e nelle preoccupazioni spirituali della Chiesa e dei cristiani.

L’importanza centrale che fu data al peccato ha avuto come effetto l’emarginazione dell’importanza che la sofferenza ha avuto negli insegnamenti e nella vita di Gesù.

E’ la legge che inventa il peccato. Allora Gesù, che è venuto a liberare l’uomo dal peccato, lo deve liberare pure dalla legge. Ecco perché Gesù non dona una legge che gli uomini devono osservare, ma comunica la sua stessa capacità d’amore.

Un’espressione che chi frequenta degli incontri ha sentito tante volte: qual è la differenza tra il credente nel mondo della legge e il credente nell’ambito di Gesù’? Il credente, nel mondo della legge, è colui che obbedisce a Dio osservando tutte le sue leggi, mentre il credente per Gesù è colui che assomiglia al Padre praticando un amore simile al suo.